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Corrado Alvaro
Polsi
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La
zona di San Luca era abitata fin dai tempi della Magna Grecia. La
cittadina di Pietracucca che si trovava, probabilmente nei pressi di
Pietra Cappa fu assaluta e distrutta dai Saraceni dell'emiro Hassan
nell'anno 952. Molti degli abitanti furono ridotti in schiavitù e
deportati in Africa. Altri, scampati alla strage presero la via dei
monti e si stabilirono ai piedi di Pietra Castello, imponente
massiccio di roccia di conglomerati polimictici, trasformato dai
bizantini in fortezza circondata da triplice cinta di mura, in
pratica imprendibile
Il nuovo villaggio si chiamò
Potamia e visse per secoli al riparo della gran fortezza,
condividendo le vicissitudini feudali di tutto il territorio.
Sul
mitico maniero corrono storie e leggende : dalla visita in
Aspromonte di papa Silvestro alla battaglia tra saraceni e cristiani
di cui si trova traccia nel poema cavalleresco Chanson d’Aspremont,
nel quale la fortezza è chiamata Torre d’Aspromonte. Con la
conquista della Calabria da parte dei Normanni, Potamia fu
inclusa in un vastissimo comprensorio feudale, che andava dal mar
Tirreno al mare Jonio, detto Contea di Sinopoli che,
in età sveva, appartenne al barone Carnelevario de Pavia. Da questi
passò a Fulcone Ruffo, ad Antonio Centelles e a Tommaso
Marullo. Ormai però della gran contea era rimasta solo una parte,
quella ionica che comprendeva i centri di Motta Bovalina, Bianco,
Torre Bruzzano, Motta Bruzzano, Panduri, Potamia e Condajanni.
Le
terre di Bovalino, Potamia e Panduri furono acquistate, verso
al fine del secolo XVI°, da Sigismondo Loffredo, nominato dal re,
Marchese di Bovalino. Pochi anni dopo, nel 1590, una tremenda
alluvione ed un’imponente frana dilaniarono l’abitato del villaggio
di Potamia. Le poche famiglie, superstiti dei precedenti
esodi, dovettero abbandonare ancora una volta la terra dei loro
padri. Il 18 ottobre 1592, in processione solenne, partendo
dall’antica chiesa mezza diroccata, con in testa il vescovo di
Gerace, Mons. Bonardo, il popolo si avviò per raggiungere il sito
scelto per l’insediamento del nuovo villaggio; che si chiamò San
Luca in onore dell’evangelista del quale quel giorno ricorreva
la festa.
Dopo il Loffredo, San Luca
passò dalle mani di diversi feudatari, fino a pervenire ai
Gambacorta, duchi d’Ardore. Ai Gambacorta successero i Clemente che
tennero il feudo per 131 anni fino all'eversione della faudalità
(1806).
San
Luca fu dichiarato Comune autonomo nel 1811 e incluso nel
circondario di Bianco.
Il secolo XX° si annunciò alla Calabria con tre
disastrosi terremoti in quattro anni che arrecarono danni enormi al
piccolo paese seicentesco. Il magnifico palazzo marchesale, ora
proprietà dei signori Stranges, subì danni incalcolabili ed
irreversibili. Negli anni cinquanta una serie d’alluvioni
catastrofiche ferì gravemente il territorio, producendo innumerevoli
frane, e rivoluzionò l’economia fino allora prevalentemente
pastorale. L’ultima alluvione del dicembre 1972 mise in pericolo la
parte più antica e bella del paese, quella arroccata, come “ un nido
di calabroni”, alla collina. Ancora un drammatico esodo di massa.
Nel 1819 Alessandro Clemente vendette le
terre a Francesco Stranges, uno degli agenti ripartitori dei beni
demaniali, marchese di fatto delle terre fino al 18 aprile 1835,
giorno della sua morte.
Il terremoto del 1783 causò gravi danni
all’abitato che purtroppo subì, successivamente, le alluvioni del
1951 e del 1953.
Casa
di Corrado Alvaro
Si trova di fronte la chiesa matrice ed un edifici a tre livelli
edificato nel XVIII secolo. Aperta al pubblico è sede dell'omonima
fondazione. La casa conserva l'arredo originale e i libri dello
scrittore di Gente d'Aspromonte. La stanza da letto è stata
ricostruita nei minimi particolare e oggi si presenta così come
l'aveva lasciato lo scrittore sanluchese.
Da vedere i ruderi del castello medievale e
quelli dei quattro monasteri di S. Stefano, S. Costantino, San
Giorgio e S. Giovanni. Nei dintorni di San Luca si possono visitare
i ruderi dell'abbazia normanna di San Nicola di Butramo. La maggiore
attrattiva è comunque esercitata dal Santuario di Polsi,
notissimo centro di culto mariano, meta di pellegrinaggi per
migliaia di fedeli, provenienti, soprattutto, da Calabria e Sicilia
Chiesa
Santa Maria della Pietà
Sulla facciata con fastigio si nota il portale rettangolare
sovrastato da una monofora, con timpano spezzato, e lesene dotate di
capitello decorativo. In alto, nel timpano, un orologio. All’interno
formato da un’unica navata è conservata una tela seicentesca
rappresentante la Deposizione. Qui sono conservate, inoltre, alcune
statue processionarie tra cui quelle di San Luca e di San
Sebastiano.
Chiesa
di San Giorgio (ruderi)
Si trova nell’omonima frazione ed è un antico edificio di origine
bizantina (X-XI secolo) con pianta centrale e absidi semicircolari
di cui rimangono visibili soltanto alcune tracce. L’edificio fu
edificato come punto di riferimento per i monaci che vivevano
eremiti. Un tempo aveva un pavimento in marmo policromi rimosso nel
1936 e conservato nel museo nazionale di Reggio Calabria, ma non
esposto. Le colonne che abbellivano la navata sono state in parte
rimosse e portate al Santuario di Polsi altre, invece, sono visibili
tra i ruderi. L’antica struttura doveva avere una cupola centrale e
quattro cupolette laterali, con struttura simile alla cattolica di
Stilo.
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Il
lago Costantino
Il lago Costantino si formò durante l'alluvione nel 1973.
Dopo giorni di intense piogge, il 1 gennaio 1973, una frana di
enorme dimensioni si rovesciò sul letto del torrente Bonamico, in un
tratto mediano della zona tra Polsi e San Luca, assestandosi
perfettamente da una sponda all'altra.
Si formò così una diga naturale e, nello spazio di qualche giorno,
una enorme quantità di acqua e fango riempì l'invaso.
La zona interessata è ricca di oleandri, per tale motivo, il lago
creatosi, in un primo tempo, venne battezzato "degli oleandri", in
seguito fu denominato ufficialmente "lago Costantino", dal nome
dell'antico monastero di San Costantino del X sec. che sorgeva in
quei pressi.
Consolidandosi la diga di
sbarramento, si è creato un singolare
laghetto di 170 m. di larghezza, 400 m. di lunghezza e 18m di
profondità massima.
Col passare del tempo la distesa d'acqua assunse sempre più le
caratteristiche di un vero e proprio lago, con la tipica vegetazione
sulle sponde, con la formazione di piccole spiagge e soprattutto con
l'allocazione di una fauna prettamente lagustre. Scienziati e
ricercatori anche stranieri lo studiano fin dalla sua nascita come
un importante fenomeno geologico.
Le acque
erano talmente limpide e pulite che poteva essere utilizzato
come riserva di acqua potabile.
Negli anni '70 alcuni ricercatori dell'università di
Berlino, aiutati dalla popolazione locale effettuarono studi nel sito del lago,
arrivando alla conclusione che esso sarebbe scomparso già
nei primi anni '90 per l'accumulo di detriti sul fondo,
accumulo che, evidentemente, si è rallentato, anche se non
arrestato negli anni.
Le intense piogge
verificatesi nel gennaio 2008 hanno accelerato e portato a
compimento il processo di insabbiamento del lago Costantino,
creatosi nella fiumara Bonamico, in agro di San Luca, 35 anni
fa. Il lago aveva comunque già da tempo ridotto le sue originarie
dimensioni. Era chiaramente visibile l’avanzare inesorabile della
fiumara ma non si pensava che la sua scomparsa sarebbe stata
così rapida. A nulla sono valsi gli appelli degli abitanti di
San Luca e soprattutto degli operai AFOR che suggerivano di
intervenire con briglie e gabbionature che diminuissero
l’apporto di detriti dalla fiumara. Ma la natura ha le sue leggi
alle quali inutilmente tentiamo di opporci: la pioggia lo ha
generato e la pioggia se l’è ripreso.
Nato il 3 gennaio 1973 – Morto il 22 gennaio 2008 |
Pietra Cappa
Pietra Cappa si trova all’interno del Parco
Nazionale dell’Aspromonte, in località S. Luca, provincia di Reggio
Calabria.
Affascinante, imponente e misteriosa, quasi amletica. Così appare
ai viaggiatori Pietra Cappa, il monolite più alto d’Europa che
sovrasta il paese di Natile superiore occupando circa 4 ettari di
terreno e svettando in altezza per oltre 100 metri. Situata sul
versante orientale del Parco dell’Aspromonte, nella valle chiamata
delle Grandi Pietre proprio per la presenza di numerosi conglomerati
rocciosi modellati dalle intemperie fino ad assumere forme
particolari, Pietra Cappa ha origini antichissime e appare citata
già negli antichi monumenti medievali.
Ipotesi suggestive e fantasie colorite sono sempre state
scatenate nell’immaginario collettivo dalle enormi pietre presenti
in tutto il territorio reggino. Megaliti dalla forgia insolita,
disseminati un po’ dappertutto, e, in particolar modo, tra i
sentieri dell’Aspromonte incantato, che si stagliano imponenti da
migliaia di anni rimanendo avvolti dal mistero più fitto e dalle
leggende popolari.
Per spiegare le loro origini si scomodano, infatti, la letteratura
fantascientifica, esoterica e religiosa, non disdegnando gli
extraterrestri, il Santo Graal o Gesù e gli apostoli.
Ma
Pietra Cappa riveste un ruolo rilevante, addirittura, nel mistero
dei Cavalieri Templari.
Raccontano le leggende, infatti, che Reggio, oltre ad essere la
patria della Decima Legione Fretense che crocifisse Gesù e trafugò i
tesori del tempio di Gerusalemme, tra le cui fila militavano Longino,
il legionario che trafisse con la lancia il costato di Cristo e il
funzionario Lucius Artorius, ossia il vero re Artù, e dei numerosi
crociati dai quali ebbero origine i cavalieri di Malta, fu anche il
punto di partenza dei monaci che fondarono l’ordine di Sion, i quali
ebbero la rivelazione del Graal, la simbolica coppa del sangue di
Cristo, proprio a Pietra Cappa. E qui, nelle sue misteriose
ramificazioni che arriverebbero sin nelle viscere della terra, si
sarebbero stabiliti, e, in seguito, nascosti, i Cavalieri del
Tempio, rendendo la ‘Regina dell’Aspromonte’ ancora più enigmatica e
affascinante.
Ammantato di storia e leggenda anche l’origine del nome di Pietra
Cappa che molti indicherebbero in una traduzione di cono rovesciato.
Quello che è sicuro è il fascino di questo luogo: circondato da
una fitta vegetazione di eriche, lentisco, mirto, corbezzolo,
castagno, lecci, cespugli di menta e di origano, sprigiona una forza
e un’energia atavica, con il suo carattere selvatico e solitario
ancora non intaccato dalla mano dell’uomo moderno.
Gli unici segni di antropizzazione sono i resti bizantini che
s’incontrano sul sentiero che conduce al monolite. Da visitare i
ruderi della Chiesetta bizantina di San Giorgio, un tempo dotata di
pavimento di marmo, di cui rimane qualche suggestiva colonna e
qualche muro.
A guardia di questa vallata mozzafiato i Giganti di San Giorgio,
secolari castagni lasciataci in eredità probabilmente dai monaci
basiliani che incorniciano la bellezza naturale, paesaggistica di
questo luogo.
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